Comune di Serra San Bruno
«Serra San Bruno è il paese di Calabria in cui si vorrebbe sostare. Ha un colore alpino e vi arriva spiritosa l’aria del mare. E poi è nell’atmosfera di una delle più antiche tradizioni calabresi, il monachesimo»: così scriveva, diversi decenni or sono, Corrado Alvaro, uno dei maggiori scrittori del Novecento. E con le parole di Alvaro inizia questo itinerario, a partire dal lungo asse viario di corso Umberto I, lastricato in granito nella seconda metà del XIX secolo, che attraversa il centro storico di Serra San Bruno, lambendo le settecentesche chiese tardo-barocche. Il percorso nelle chiese di Serra costituisce, al tempo stesso, un viaggio in un’eminente tradizione artigiana di ebanisti, marmorari, scalpellini e un itinerario nella grande storia artistica della Certosa, le cui opere, dopo il terremoto del 1783, in parte vi confluirono. Imboccando l’ingresso principale del corso, provenendo da nord, il visitatore trova quasi subito, sulla sinistra, la Chiesa Matrice (fine del XVIII secolo), documentata già agli inizi del Seicento come chiesa intitolata a San Biagio. Nella navata centrale viene accolto da quattro statue marmoree: San Giovanni Battista, Santo Stefano, San Bruno, la Vergine col Bambino. A fare da scannello alle statue di San Bruno e della Vergine due autentici capolavori: i bassorilievi La congiura di Capua e La natività finemente scolpiti da David Müller e datati 1611.
Fermandosi ad ammirare il primo, sembra quasi di assistere in diretta alla scena che vi è descritta: nell’accampamento militare di Ruggero il Normanno San Bruno appare al Gran Conte e gli rivela una congiura ordita ai suoi danni, consentendogli così di sventarla. Nel secondo bassorilievo, invece, una natività ispirata a canoni stilistici “nordici”, cesellata nei particolari, crea un’atmosfera di raccoglimento interiore alla quale non è facile sottrarsi. Dopo aver oltrepassato l’altare ottocentesco e ammirato il tabernacolo dei fratelli Alfonso e Giuseppe Scrivo, si entra nel coro, dove due grandi tele – il Martirio di S. Stefano di Bernardino Poccetti (1608 ca.) e Trinità con santi certosini del tropeano Francesco Caivano (1633) – stanno una di fronte all’altra. Provenienti entrambe dalla Certosa, come le statue della navata, documentano anch’esse l’epoca d’oro del monastero dal punto di vista artistico, che divenne polo d’attrazione per maestranze, pittori e scultori di ogni parte d’Europa. Ma è nella cappella in fondo alla navata destra che si trova l’opera più stupefacente della chiesa, un imponente reliquiario, risalente all’XI secolo e rifatto nel XVIII, donato, secondo la tradizione, dalla terza moglie di Ruggero d’Altavilla – Adelaide del Vasto – a San Bruno di Colonia. Reliquie e reliquiario che le conteneva erano sicuramente tra i tesori più venerabili custoditi dalla Certosa bruniana e, in quanto tali, furono più volte ricordati dagli eruditi e dai viaggiatori che ebbero modo di occuparsi del monastero calabrese. Il reliquiario – secondo la descrizione dello storico certosino Tromby – «teneva circa palmi 7 d’altezza, e largo a proporzione. Tutto stava congegnato di Ebano con più registri di Nicchie sostenuti da due colonnette, ciascuna colle loro basi, e capitelli; maravigliosamente lavorate della stessa materia. In mezzo ad ogni una di esse s’alzava un picciol vasetto col suo coperchiolo d’avorio. E dentro vi stavano colle loro cartelline i nomi delle suddette SS. Reliquie. Alcune però delle medesime stavan chiuse in Teche d’argento, che interziate con arte da capo a fondo in certi vani tra l’una Nicchietta, e l’altre facevano uno spicco graziosissimo. Ma in mezzo, allogato in forma di Croce, un notabilissimo pezzo alla longhezza d’un dito del legno Santissimo, in dove Gesù Salvator nostro offrissi all’Eterno Padre in redenzione del genere Umano, contribuiva mirabilmente a promover la pietà, e la divozione». Uscendo dalla Chiesa Matrice e risalendo il corso per poche decine di metri si incontra, sullo stesso lato della strada, la chiesa di Maria SS. dei Sette Dolori, sede anche dell’omonima arciconfraternita. La chiesa dell’Addolorata è un autentico gioiello, una gemma architettonica e artistica, con la sua facciata semiellittica (progetto di Biagio Scaramuzzino) e l’interno di piccole dimensioni, raccolto, ricolmo di opere d’arte, quasi fosse uno scrigno. Le opere sono quasi tutte di provenienza certosina e tra esse spicca il ciborio di Cosimo Fanzago e Andrea Gallo in marmi mischi, con il prezioso tabernacolo realizzato da Innocenzo Mangani, Raffaele Maitener e Sebastiano Scioppi e le sculture di santi di mano di Cosimo Fanzago. Il ciborio di Fanzago è una “macchina” barocca – a cui sembrano quasi fare da sentinelle i due spettacolari putti assisi sulle porte laterali – e, pur avendo subito smembramenti e rimodulazioni della sua conformazione primitiva, rappresenta una delle pagine più alte della storia artistica secentesca del Meridione italiano. Gli fanno da nobile contorno le due tele poste sopra gli altari marmorei delle cappelle laterali, l’Apparizione della Vergine a San Bruno (Paolo De Matteis, 1721) e la Morte di Sant’Anna (1645), espressione di raffinata cultura figurativa recentemente attribuita a Reynaud Levieux (1613-1699), mentre non sono da dimenticare, sulle pareti della navata, i quattro medaglioni marmorei di scuola napoletana del XVII secolo raffiguranti San Bruno (?), San Gennaro, San Pietro e San Paolo, anch’essi originariamente nella Certosa così come le tele, gli altari e la balaustra marmorea (XVII secolo) posti nei bracci della crociera. Appartenenti alla produzione artistica locale sono, invece, I sette santi fondatori fiorentini dell’ordine della beata Vergine Maria dei Sette Dolori (Giuseppe Maria Pisani sr., 1902) nella lunetta centrale del coro, le quattro vele che circondano la cupola (Stefano Pisani, XIX secolo), i preziosi stucchi delle pareti, la porta esterna in bronzo dedicata ai Sette Dolori di Maria (Giuseppe Maria Pisani jr., 1961). Le eredità certosine nella storia artistica e architettonica di Serra San Bruno sono ulteriormente visibili nella Chiesa di Maria SS. Assunta in Cielo e non solo perché essa, anticamente, venne denominata chiesa della “panella”, in quanto i monaci vi si recavano per distribuire il pane ai poveri. È il suo stesso frontespizio, elegante e lineare, a testimoniare i lasciti della Certosa che hanno arricchito il tessuto urbano, con l’impiego di materiali di riuso tanto per luoghi sacri quanto per abitazioni civili. Al suo interno, alle spalle del magnifico altare maggiore ligneo, ancora un quadro importante di Bernardino Poccetti – L’Annunciazione – ispirato a una tela di identico soggetto conservata nella chiesa della SS. Annunziata di Firenze, ma anche un San Bruno del XVI secolo, che rappresenta il prototipo del cosiddetto San Bruno “calabrese”. Il quadro compendia, infatti, gli attributi iconografici fondamentali riconosciuti in Calabria al patriarca certosino: il volto barbato con la testa leggermente reclinata, il cappuccio dell’abito monastico sormontato dalle sette stelle, il bastone a forma di tau impugnato delicatamente, la mitra vescovile e il pastorale deposti ai piedi del santo. Abbandonata la Chiesa dell’Assunta del quartiere Terravecchia e superato, poco più avanti, il ponte sull’Ancinale, il visitatore potrà raggiungere in una manciata di minuti l’altra chiesa dell’Assunta nel quartiere Spinetto. Risalente al XIX secolo, la chiesa si segnala soprattutto per le opere di maestranze serresi, quali un Crocefisso ligneo della bottega degli Scrivo, una statua di San Giuseppe di Antonio Scrivo, statue di San Francesco di Paola e della Madonna del Carmine di Raffaele Regio, ma pure per la straordinaria Maria SS. Assunta di scuola napoletana degli inizi del Settecento, portata in processione sulla pregevole “varia” di Bruno Barillari della metà del XIX secolo.