Comune di Santa Caterina dello Ionio

La mutevole bellezza della campagna che si affaccia generosamente sulla costa ionica catanzarese cambia spesso conformazione, o per via dei calanchi brulli che affiorano sui primi contrafforti dell’entroterra o per i forti sbalzi altimetrici che, dominando naturalmente il mare, hanno favorito nei secoli la costruzione dei paesi interni. Come nel caso di Santa Caterina dello Ionio, antico paese di fondazione medievale divenuto nei secoli ambita preda delle numerose famiglie feudali che ne hanno preteso la proprietà. I tornanti che si arrampicano tra uliveti secolari, antiche case coloniche e querceti, mostrano alternativamente la distesa ionica e le montagne del Parco delle Serre che qui sembrano incombere a distanza ravvicinata. Superando, infatti, il centro storico, si può continuare verso Elce della Vecchia per godere lo spettacolo di un altro valico naturale che si raccorda al dedalo fitto di strade verso Serra San Bruno.

La storia di questo bellissimo paese è stata segnata da eventi molto tristi che la popolazione coraggiosamente ha affrontato in vero spirito di resilienza. Ma il grande disastro del 29 luglio 1983 ha creato una cesura epocale tra il passato e il futuro costringendo gran parte degli abitanti a trasferirsi nell’allora sparuta Marina, oggi cresciuta esponenzialmente. In quella giornata torrida eppure oltremodo ventosa, uno spaventoso incendio divampò nel vallone di nord ovest ai piedi del paese e, sospinto da un impetuoso vento di ponente, raggiunse le prime case. In brevissimo tempo distrusse gran parte della zona alta: furono ridotte in cenere 67 case, due chiese e due palazzi nobiliari di grande pregio. Il fuoco inghiottì la già dismessa chiesa dell’Annunziata, la vicina e imponente Chiesa Madre dell’Assunta, devastandone il tetto e la sottostante volta; bruciò il tetto dell’oratorio del Rosario ma miracolosamente la volta non crollò, risparmiando i capolavori in esso contenuti. Nulla si poté fare per salvare l’ottocentesco palazzo dei Marchesi Di Francia, gli ultimi baroni di Santa Caterina, e per quello di fronte dei baroni Del Balzo-Squillacioti, ove si conservavano anche qui preziose testimonianze e la vetusta biblioteca di famiglia. Ciò nonostante, il centro storico è stato in parte restaurato, ricostruita la Chiesa Madre e salvato quanto il fuoco aveva graziato, molte case sono state riedificate conservando almeno l’impianto originale. Ma le ferite di quasi quarant’anni fa sono ancora aperte e quanti hanno lasciato il borgo per la marina ancora oggi faticano a ritornarvi. La consapevolezza di questa triste pagina di storia ci deve quindi motivare a compiere una visita – se possibile – ancor più doverosa e attenta cercando di comprendere l’entità della tragedia e gli esiti psicologici e materiali patiti dalle vecchie e dalle nuove generazioni.
Il castello, documentato già nel XII secolo, sopravvisse ai devastanti terremoti e all’abbandono dovuto all’eversione feudale. Ciò nonostante, fu abbattuto nella seconda metà del Novecento e rimpiazzato dall’asilo comunale. La Chiesa Madre che, come anticipato, fu quasi completamente distrutta dall’incendio, è stata edificata nel 1606 e rifatta nelle forme attuali dopo il terremoto del 1783: gran parte della sua elegante decorazione in barocchetto serrese, ormai tendente all’incipiente gusto neoclassico, si è salvata dal fuoco, eccezion fatta per la volta. Il tiburio, internamente costruito a mo’ di cupola, ha resistito ma il forte calore ha causato la distruzione del coro ligneo, della pala pittorica e ha danneggiato l’altare marmoreo, gioiello realizzato dai marmorari Pisani di Serra San Bruno nel 1780. Danneggiati anche i pregevoli altari laterali, opera di maestranze napoletane del Settecento, ove sono racchiuse le sculture dell’Immacolata e di San Giuseppe, anch’esse di marmo.
Tra le tante opere superstiti, si ammiri, nella chiesa del Rosario, lo spettacolare altare maggiore napoletano in marmi policromi, settecentesco come la pala pittorica in esso racchiusa raffigurante la Vergine del Rosario, copia dal celebre originale di Carlo Maratta mirabilmente replicato da Emanuele Paparo. Interessante la chiesa di San Pantaleone, quella ormai abbandonata dell’Immacolata e la sontuosa chiesa confraternale di Santa Caterina, patrona del paese. Gli interni neoclassici accolgono nella sontuosa cornice dell’altare maggiore una copia dell’originaria pala di Fabrizio Santafede, replicata nel 1866. Notevole la statua della Patrona, opera serrese della fine del Settecento, abbigliata con ricchi paramenti in seta ricamata in oro, oggetto di grande devozione da parte dei caterisani che ne celebrano solennemente la festa il 25 novembre e la seconda domenica di luglio.