Comune di Stilo

A mezza costa, disteso come una macchia oblunga e ordinata di case, si erge il profilo urbano di Stilo. Lo ammiriamo in tutto il suo splendore da un belvedere mozzafiato, una lunga terrazza che costeggia la strada appena prima di accedere al centro storico: da qui l’antica città appare come un anfiteatro aggrappato ai contrafforti della montagna, dalla cui irregolare tessitura architettonica emergono le grandi dimore nobiliari, i resti della cinta urbica, che ne abbracciava il perimetro, e i luoghi di culto più importanti. Nata dalla distruzione dell’antica Kaulon per mano dei Siracusani nel 388 a.C., venne ricostruita più volte con il suggestivo nome di Consilinum, dal greco “villaggio della luna”, poi Kaulon italiota e quindi Stilida. Divenuta importante durante l’impero bizantino, ottenne dai Normanni il titolo di Regio Demanio, rimanendo così affrancata dalla schiavitù feudale e controllando un vastissimo territorio. Nel 1540 fu venduta da Carlo V ai Concublet assumendo il titolo di contea, sebbene circa un secolo dopo riconquistò grazie al re Filippo IV la perduta autonomia che mantenne fino all’eversione feudale (1804). La percorriamo con calma, gustandone la bellezza purtroppo offuscata da improbabili restauri e dall’incipiente abbandono che, come un male oscuro, tradisce e offende tutti i borghi dell’entroterra calabrese. Sulla propaggine di nord-est, accanto alla torre semicircolare e alla porta Stefanina, si ergono la chiesa di San Domenico e i resti del convento dei padri Predicatori ove dimorò per breve tempo uno dei figli più illustri di Stilo, il filosofo Tommaso Campanella: la chiesa, affacciata sulla vallata, conserva ancora il suo assetto baroccheggiante e la bella cupola a calotta, internamente purtroppo compromessi da un lungo stato di abbandono protrattosi nei decenni. Vi si conservano il Crocifisso settecentesco e la statua della Vergine del Rosario, vestita di seta preziosamente ricamata.
Nel cuore del borgo, ove si affacciano i numerosi palazzi gentilizi tra cui quello dei Bono, dei Lamberti e dei Capialbi, emerge compatta la mole della Chiesa Madre dedicata a Santa Maria d’Ognissanti, possente architettura mononavata di fondazione trecentesca rifatta dopo il devastante terremoto del 1783. La semplice facciata a capanna è arricchita dall’elegante portale archiacuto, scolpito in pietra locale, e dal celebre frammento di scultura romana, una base con due piedi curiosamente murata all’esterno. Chiusa al culto da più di trent’anni per problemi statici, aggravati purtroppo dalle beghe burocratiche, il Duomo conservava al suo interno la prestigiosa pala dell’altare maggiore raffigurante la Madonna d’Ognissanti, capolavoro del napoletano Battistello Caracciolo che la eseguì tra il 1618 ed il 1619, oggi in deposito presso la chiesa di San Giovanni Nuovo. Vi sono due eleganti cappelle: quella del Santissimo Sacramento è stata decorata dallo stuccatore settecentesco Onofrio Buscemi di Palermo e dotata di un prezioso altare marmoreo di manifattura messinese, purtroppo oggetto durante gli anni di chiusura di reiterati furti; la cappella del Patrono San Giorgio ha invece un sontuoso fastigio in stucchi ottocenteschi di manifattura serrese all’interno del quale era custodita la statua lignea del Santo. La deliziosa facciata di San Francesco d’Assisi, col suo prospetto mistilineo profilato in granito e datato 1743, è opera di abili maestranze di Serra San Bruno, considerata a buon diritto come uno tra gli esempi più notevoli del così detto “barocchetto di Calabria”: all’interno, decorato in stucchi di misurata eleganza, merita una particolare attenzione il grande altare ligneo di Santa Maria del Borgo, fastosa composizione di scuola roglianese che racchiude la pala cinquecentesca della Vergine, opere provenienti dal distrutto convento dei Cappuccini. Non sfugga, altresì, la statua marmorea dell’Immacolata, dell’artista cinquecentesco Michelangelo Nacherino, e quella lignea ottocentesca della Madonna delle Grazie, firmata dal serrese Vincenzo Zaffino. Il retrostante campanile era evidentemente una torre di difesa extra moenia, poi inglobata dal convento cinquecentesco dei padri Minori Conventuali di cui oggi rimane solo una parte.
Prima di intraprendere il ripido percorso che conduce al Castello e alla più celebre chiesetta bizantina della Cattolica, incontriamo il monumentale complesso di San Giovanni Therystis, costruito nel XVII secolo e rifatto nelle forme attuali dopo i danni patiti col sisma del 1783. La facciata, ridisegnata dai serresi nel XIX secolo, è fiancheggiata da due eleganti campanili: l’interno è ricchissimo di stucchi eseguiti nei primi decenni dell’Ottocento dall’architetto serrese Domenico Barillari su committenza dei padri Redentoristi, subentrati dal 1791 nella proprietà dell’illustre casa fondata nel primo quarto del XVI secolo dai Paolotti e poi abitata dai Monaci italo-greci, impropriamente detti “Basiliani”, che le imposero il nome di San Giovanni Nuovo o fuori le mura. Le partiture del Barillari sono fastose ed eleganti, rese ancor più belle dalla sovrabbondanza di luce che, entrando dalle finestre aperte nella grande volta a botte, accelera la percezione della sua grandiosità. Sull’altare maggiore in marmi settecenteschi, ornato dal sovrastante fastigio in stucchi col trionfo della SS. Trinità, è custodita la statua ottocentesca dell’Immacolata Concezione, alla quale il popolo di Stilo è profondamente devoto e qui celebra con gran concorso la novena e la solennità di dicembre. Nel transetto sinistro, racchiuso in un’architettura in stucco, si può ammirare lo splendido altare-reliquiario, finemente intarsiato in marmi policromi, ove sono ospitati il busto cinquecentesco di San Giovanni il Mietitore (Palermo, 995 circa – Stilo, 23 febbraio 1054), monaco italo-greco vissuto nella vallata dello Stilaro, le cui reliquie furono qui trasportate dalla chiesa normanna di San Giovanni Vecchio nel 1662. Non si lasci questo luogo prima di aver ammirato la mole del convento redentorista, il portale serrese col sovrastante balcone a petto d’oca, datati 1759, nonché il chiostro interno, al centro del quale sorge il pozzo coperto da baldacchino con quattro colonne di marmo rosa.
Dulcis in fundo, la visita a Stilo culmina con il suo monumento più rappresentativo, la Cattolica, una gemma preziosissima di piccole dimensioni, incastonata sulle giogaie del Consolino quasi a presidio dell’attuale centro storico e delle vallate sottostanti. Fu costruita plausibilmente tra il IX e il X secolo con materiali di spoglio: i mattoni in laterizio che, come evinto dal ritrovamento di un timbro, risalirebbero al III secolo d.C. potrebbero, infatti, provenire da una villa romana del territorio stilese. Anche le quattro colonne poste a sostegno della struttura sono di reimpiego: il loro uso, oltre ad impreziosire l’architettura, testimonia la volontà di riutilizzare il mondo pagano per rifondare i luoghi del culto cristiano. Il volume compatto del piccolo tempio è ingentilito da cinque cupole che sormontano i quattro spazi laterali e la superficie del transetto. Gli interni, luminosi e raccolti, erano impreziositi da cicli pittorici di cui oggi rimangono solo alcune parti, una delle quali – la più estesa – raffigura una Dormitio Virginis del XIV secolo.
Domina il paese e l’intera vallata dello Stilaro il castello normanno, i cui poderosi ruderi risalgono a re Ruggero II che ne volle la costruzione tra la fine dell’XI secolo e gli inizi del XII. Lo si raggiunge attraverso un percorso irto e piuttosto faticoso da compiere con adeguata attrezzatura da trekking sebbene lo sforzo sia ampiamente ripagato dalla vastità e dalla bellezza del panorama che da lì si può godere.